(Cambiamento, accettazione o Morte. Di Danilo Moncada Zarbo)
Alla fine del 1800 la nascita della psicanalisi e della psicologia sanciscono una crisi culturale ed una trasformazione. La grande rivoluzione psicanalitica consente di passare dal concetto di Possessione a quello d’Ossessione.Le passioni e la sessualità non sono spiriti che posseggono e invadono l’uomo privandolo della volontà ma sono bisogni interni, pulsioni che chiedono soddisfazione o almeno consapevolezza.
La dinamica tra Es, Io e super-io ridisegna il territorio del conflitto tra Legge Morale e Legge dell’uomo; tra doveri e bisogni. L’assenza di risposte e la mancata consapevolezza del conflitto creano dolore e sofferenza, l’Obsisdere. Essa, l’ossessione, ha caratteristiche simili a quelle vecchie e magiche della possessione: l’incoercibilità, l’estraneità, la compulsività, l'invasività e i cerimoniali nevrotici che hanno come ultimo scopo quello di impegnare la persona in modalità estraneanti. Separare il bisogno dal vivere quotidiano, negare risposte, evitare.
Il piacere è dato, invece o talvolta, dalla concentrazione in risposta all’evitamento, dall’allineamento tra pensiero, azione ed emozione. La forma, Gestalt, si completa dove le parole consentano all’uomo di immaginarsi in ruoli fluidi e interscambiabili conflittuali a volte e altre no, e di immaginare anche universi differenti da sperimentare anche soltanto per intuizione.
Il valore di Internet e delle chat sta proprio nella realtà del virtuale. Nulla è che non ci appartenga, la realtà è certamente una costruzione del reale.
Il concetto chiamato dai greci Simbolo, mettere insieme, riferisce del mito platonico di Zeus che volendo castigare l’uomo senza distruggerlo lo spaccò in due. Racconta dunque Platone che da allora ciascuno di noi è il “simbolo di un uomo” (convito 189/193).
Il mondo sensibile del simbolo diventa opera d’arte quando Esso è universalmente riconosciuto. Il poeta travalica la confusione babelica, ricongiunge ciò che fu scisso e separato, il segno diverso dal simbolo ridiventa significato e racconta sempre dell’uomo e delle sue passioni.
Nel mio lavoro psicoterapeutico incontro spesso realtà scisse; Donne e uomini spaccati raccontano del dolore e dell’angoscia; altri Raccontano della colpa e dell’errore.
Il lavoro analitico, è anche l’individuazione del rapporto tra simbolo e simbolizzato. La ricerca di un rapporto, di una costanza tra il contenuto latente e il contenuto manifesto. Obiettivo di ogni analisi è sempre la tessitura della trama personale, unica e differente, la comprensione della propria storia.
Vivere la propria vita e non quella degli altri è un’aspirazione costante, ma a volte dimenticata. I sussurri del disagio, conseguenti al vivere una vita non propria, rimangono inascoltati fino alle urla d’angoscia che solo un corpo ancora vivo riesce a mostrare. Quando la parola diventa inutile il corpo si ammala, si compiono metamorfosi che noi psicoterapeuti chiamiamo conversione somatica, un tempo era la nevrosi isterica. E’ un sintomo questo, un campanello che annuncia il bisogno di consapevolezza e di cambiamento. Molti si trasformano nel tentativo di scoprire parti nuove del Sé, altri si mimetizzano per celare il confronto, altri scelgono la staticità, e farmaci che instupidiscano le menti e opprimano il bisogno.
Fetonte, nelle pagine che seguono, muore poichè rifiuterà di vivere “La propria vita” dimenticando la rivalsa sul padre. Egli è invece desideroso di impossessarsi di un ruolo che non conosce e non capisce. Non ha obiettivi Fetonte se non quelli nevrotici della conquista del ruolo del genitore. Come molti giovani pazienti nelle mie sedute, Fetonte crede di poter essere ciò che non è, per diritto di nascita. Quest’uomo giovane vuole a nessun prezzo, il carro vuole e le redini, vuole il potere ed il suo riconoscimento. Non sappiamo forse perché non lo sa, se e chi Fetonte riesca ad amare. Sappiamo che cerca un “ pegno che provi la mia origine e dal cuore/ dissipa quest’inganno”. Null’altro sulla sua identità, intuiamo certo la quasi banale assenza del padre perché è detto Fetonte figlio di Climene. Intuiamo delle molte donne intorno a Lui, Climène, le Eliadi lamentose e poi dunque Pioppi, le Naiadi pietose.
Fetonte ha bisogno di pegni, di prove, di sapersi e non sentirsi figlio potente di un padre di cui invece dubita. Sceglie la via difficile dell’identificazione acritica, senza ricerca.
E’ il figlio che ricalca il padre, notai di notai, medici di medici, potenti di potenti, principi di principi, che dimenticano se stessi per confermare la vecchia tradizione. Non ha peso quest’uomo; infatti, è leggero come ben sanno i cavalli del carro di Febo, è superficiale. Pure ci commuove, poichè ognuno di noi è anche Fetonte, leggeri uomini in fuga dagli orrori e dalle passioni; superficiali uomini alla ricerca dell’ultimo modello e del successivo ultimo e dell’altro ancora, per fuggire la terribile domanda del “chi sono?”.
Ci commuove Fetonte così bello e così amato e così incapace d’amare; così incapace di cercarsi. Quanti uomini e quante donne indossano tutti i giorni abiti non propri, abiti strettissimi e soffocanti; vestiti di piombo in estate e d’acciaio in inverno. Chi non si cerca, non è disponibile al cambiamento, non può trasformarsi; non avrà altra strada che la morte, la dissoluzione.
Gli uomini che escono dal tracciato cambiano la cultura, le metamorfosi della storia umana sono i temerari cavalieri delle imprese, sono gli scienziati innovatori, sono i movimenti rivoluzionari, sono i giovani noglobal, sono le battaglie per i diritti civili, sono i liberi pensatori, sono i ragazzi che infrangono le regole per scoprirne d’altre, e si chiamano questi ragazzi Galileo, o Copernico, o Einstein. Lo iato tra innovatori e novelli Fetonte è la capacità di tenere le briglie del proprio inconscio ed affondare le mani nelle paludi dell’Es. Di guardare le ire e il livido scorpione, di mantenere un equilibrio tra Coscienza e Inconscio. I cavalli dell’Eros e del Thanatos potranno essere frenati “perché da soli corrono accelerati”; ci ricorda Ovidio del bisogno d’equilibrio poiché anche nella ricerca “ è gran fatica trattenere l’ardore”.
La colpa di Fetonte dunque non è il bisogno di conoscenza o di ricerca; la colpa è l’impossessarsi di un ruolo non proprio, è il volere “avere senza essere” per citare, inteneriti e alla lontana, Fromm. Cosa differenzia la colpa dall’errore? e “forse che c’è delitto nell’errore?”, cosa cela il cacciatore nei suoi veli? Il rossore di Diana, sorpresa nuda, racconta di ciò che spesso è giustificato come un problema di comunicazione o di pudore. Normalmente dietro l’arrossire si cela invece (velato) un meccanismo di difesa che rimuove una forte tendenza all’esibizionismo o a pratiche sessuali censurate perché ritenute riprovevoli. Come ogni frutto di una buona censura in campo sessuale Diana è vendicatrice e violenta. L’aggressività e la rabbia affondano radici nell’insoddisfazione e nella frustrazione. Il massaggio e gli unguenti poco servono a Diana; Né del resto la visione del monte insanguinato e della strage delle moltissime fiere hanno colmato il desiderio d’Atteone, egli ha un bisogno inappagabile dal sangue e vaga per sentieri a lui conosciuti.
A differenza di Fetonte, Atteone si conosce, conosce il suo nome; non ha colpa ma erra. Il suo errore è scoprire cosa cela la Cacciatrice. “ed ora narra che hai veduto Diana senza veli. Certamente se puoi”. La cacciatrice del mito, come il cacciatore, cela qualcosa attraverso una personalità sanguinaria e vendicatrice: cela la nudità del corpo, cela il desiderio sessuale, la tenerezza della cura devono essere celati e nascosti dall’uomo/donna tutta d'un pezzo. L’uomo spaccato a metà, anche se Dea, è ben lontano dalla sua interezza: che i soldati facciano le guerre e nient’altro, che i poeti scrivano versi e null’altro, tutto separato, scisso, frammentato. Solo il poeta le ricongiunge senza timore, morbidamente nella narrazione dell’uomo e delle sue storie.
La ricomposizione delle metà, il confluire piacevole dall’una all’altra parte, cede il passo nell’uomo alla più facile e veloce rabbia..
E’, quest’importantissima emozione, sempre uno strano coperchio; apparentemente temuta spesso comprime anche altro. Comprime, reprimendolo, l’amare, l’appassionarsi, l’intenerirsi.
Diana, donna svelata e arrabbiata, ha perso la sua differenza, sembra umana e indifesa. Riprende il suo ruolo e rinuncia alla sua nudità rivestendola di rabbia e vendetta, Essa trasforma perché non può trasformarsi. La vendicatrice conosce il suo specchio, i due sono entrambi cacciatori: ma la divina conosce l’animo dell’altro per questo vi aggiunge il terrore/bisogno del carnefice di diventare egli stesso vittima. Senza il Terrore forse Atteone si sarebbe salvato e la metamorfosi compiuta; senza il terrore forse anche Fetonte si sarebbe salvato. Errore e colpa in senso psicanalitico evocano l’angoscia; rappresentano dunque uno dei meccanismi di difesa dal rimosso; appaiono frequentemente come altissime mura frapposte tra l’indicibile, l’inguardabile ed il lecito, l’accettabile. Come se tra le due posizioni non potesse esistere comunicazione, scambio.
Atteone il cacciatore muore sbranato dai suoi stessi strumenti di morte, i cani e gli amici che non lo riconoscono perché diverso, cambiato dalla metamorfosi egli è oramai nemico. Il carnefice come sempre è molto simile alla sua vittima; e la vittima purtroppo accade che somigli al suo carnefice. Nel gioco al massacro, il sangue dell’inizio del mito d’Atteone si chiude con il sangue dello stesso; la violenza genera violenza, la guerra genera guerra. La rabbia è del resto spesso associata ad una paura colpevole; in molti comportamenti ossessivi si rintraccia proprio questa modalità di compulsiva autopunizione.
Molte donne in analisi raccontano di fantasie sessuali, e molti uomini certo anche; alcuni di loro attuano forme sostitutive che solo apparentemente sono soddisfacenti. Le tortuose vie ottengono l’obiettivo di distrarre dal piacere, e subito invece punirsi ed umiliarsi; tortuose vie come quelle di Dedalo ed il suo labirinto. L’architetto che creò innumerevoli vie e disseminate d’incertezze, è il meccanismo nevrotico e i più gravi meccanismi dissociativi della psicosi. Questi meccanismi creano il rincorrersi dei pensieri, le fughe ideative, la ruminazione mentale, il continuo bisogno d’incertezza ed in estrema misura la dissociazione schizofrenica. Nessuno dovrà uscire dal labirinto creato per celare il frutto abominevole che disonora la famiglia di Minosse; nessuno esca a mostrare l’abominevole frutto delle fantasie e dei bisogni creando disonore alla propria famiglia.
Il minotauro abbisognava di sangue vergine versato in tributo. Il suo labirinto creato perché il frutto del potere e dell’inganno non vagasse tra gli uomini, il prezzo della reclusione era il cibo versato dai perdenti, cibo della innocenza e della assenza di colpa. Gli innocenti pagano sempre il bisogno di moralità dei potenti traditi e frustrati.
La paura nella metamorfosi e nel cambiamento genera la rigidità dei Pioppi.Il terrore di Fetonte e d’Atteone è l’angoscia di chi si nasconde in perfetti labirinti creati ad arte per lui e da se stesso, perché la non giungano le urla e i sussurri della realtà, la dove tutto sia filtrato, diluito, mediato.
Danilo Moncada Zarbo